lunedì 6 marzo 2017

Conflitto tra città e metropoli – di Alessandra Muntoni

Nel suo libro Urbanità e bellezza. Una crisi di civiltà, Solfanelli, Chieti 2016, Giancarlo Consonni. discute una questione che potrebbe sembrare inattuale, mentre invece sta al centro del progetto, della gestione e della stessa percezione dello spazio urbano. Definire la bellezza è difficilissimo. Basti pensare al dialogo tra filosofi e artisti raccolto nel volumetto Che cosa sia la bellezza non so, Leonardo, Milano 1991, dove essi s’interrogano tra loro (Lytard-Buren, Givone-Boetti, Zecchi-Paladino, Vattimo-Paolini, Müller-Vitiello-Kounellis, Vitiello-Tatafiore) sul significato della parola, senza venirne a capo.
Qualunque cosa significhi, nel caso dell’urbanistica ha ragione Consonni: il termine è ormai molto lontano dall’operare di urbanisti e architetti, e ancor più da coloro che amministrano o organizzano i propri affari nella città e nella metropoli contemporanea. Egli tenta allora una nuova definizione: la “bellezza d’assieme”, o bellezza civile, connessa a una condivisione del significato e dell’uso della città raccordata al suo territorio, e quindi sinonimo di una civiltà che esprima valori comuni. Contrapposta alla “bellezza del singolo edificio”, spesso per lui sinonimo di autocelebrazione e di ricerca privata, la “bellezza d’assieme” si ricollegherebbe a una tradizione alta: quella che dal Dante Alighieri del Convivio giunge fino a Carlo Cattaneo e a Ildefonso Cerdá.
Nella dismisura della metropoli contrapposta alla misura della città, sostiene Consonni, è ormai tramontato un sistema in equilibrio e la caduta della bellezza è ancor più evidente in ogni paesaggio antropizzato. Tanto più difficile, allora, appare l’introduzione nell’habitat di quell’auspicata “bellezza d’assieme”, visto che la crisi della civiltà ha sconnesso e separato i legami di una sostenibilità sociale.
Come esempio di questa dismisura, Consonni porta il caso della Piazza “Gae Aulenti” a Milano dove, anziché tessere con il contesto relazioni possibili, «ogni organismo edilizio è chiuso in una totale solitudine, incapace com’è di istituire un legame con gli altri edifici e con l’intorno, verso cui si proietta disperatamente in un’esibizione narcisistica». Un giudizio fin troppo severo, visto l’uso quotidiano che ne fanno gli abitanti, ma certo da tenere presente per chi volesse rilanciare un più ampio consenso nella condivisone di valori. Una sfida per l’urbanistica del futuro.

domenica 12 febbraio 2017

Se la bellezza delle città ci interpella (di PAOLO PILERI)


Se la bellezza delle città ci interpella

di PAOLO PILERI   
«La città deve tornare a essere un motore dell'immaginario, capace di essere ospitale, di generare narrazioni, di mettere in moto emozioni e sorprese. E di educare alla vita e alla bellezza civile».
casadellacultura, città bene comune, 10 febbraio 2017 (c.m.c.)



L'ultimo libro di Giancarlo Consonni - Urbanità e bellezza. Una crisi di civiltà (Solfanelli, 2016) - è semplicemente Bello. Proprio così: con la "B" maiuscola. È infatti uno di quei rari saggi che riesce a prendere fiato rispetto al parapiglia di un dibattito urbanistico spesso schiacciato sui temi della rendita e della fiscalità urbana piuttosto che sull'arte di costruire le città, o su quello o quell'altro caso di speculazione, o - come si dice oggi - di sviluppo 'smart'.

Consonni - intrecciando i mille rivoli di una cultura personale che prima di essere urbanistica è umanistica - riesce a vedere con il necessario distacco quel che sta accadendo nel dibattito sulla città e il territorio e soprattutto riesce a farci comprendere bene quanto l'idea stessa di città si sia erosa e modificata nel tempo a furia di maltrattamenti lessicali e manomissioni di senso. Questo al punto che oggi fatichiamo a vedere, a sentire, a immaginare un futuro per quella che è una delle più grandi invenzioni dell'umanità.

Sento per l'autore di questo "libriccino" - così lo definisce lo stesso Consonni nella premessa - un sentimento di vera gratitudine. Ho respirato qualcosa di nuovo leggendo quelle pagine dense di pathos e non solo di logos. In esse ho colto una critica non ideologica a ciò che succede al governo del territorio. Ho visto dove si sono ammalorate le basi del pensiero urbanistico. E ho capito. Perché questo "libriccino" ti apre gli occhi, spostando il tuo sguardo fuori dalla rissa in cui perennemente ci troviamo, per appoggiarlo sulle cose veramente importanti, quelle che fondano (e dovrebbero continuare a fondare) sia l'idea di città sia l'idea di progetto della città.

Non si può che concordare con l'autore sulla necessità di interrompere quella follia che vuole la città e la metropoli come una sola grande occasione di profitto. Questo è terribilmente svilente non solo della bellezza dei luoghi urbani ma anche e soprattutto dell'idea di cittadinanza e dell'idea stessa di città. Idee che nel nostro Bel Paese si sono formate attraverso i secoli divenendo parte del nostro carattere, del nostro pensare e agire quotidiano, del nostro sguardo, persino quando chiudiamo gli occhi.

Il problema - perché esiste effettivamente un problema - è che oggi si sta eccessivamente imponendo, a forza di proclami e false verità, un'idea di città di plastica, tutta costruita attorno alla parola magica "metropolitana". Consonni vi si sofferma, la studia, ci ragiona con maestria e leggerezza e alla fine ne deduce che non possiamo rinunciare alle chiavi basilari di ciò che è veramente la città, ad alcuni suoi caratteri essenziali come quello dell'urbanità e quello della bellezza.

Diversamente ci "sembra" di essere in una città, ma invero siamo in una sorta di set cinematografico alla "Truman Show", in un penoso spettacolo in cui ogni cosa è messa lì per soddisfare le mire di guadagno di alcuni, i soliti che mirano ad accaparrarsi la rendita, quelli della finanza, del fondo immobiliare xy, della catena commerciale zk. E loro - questo è chiaro - hanno più bisogno di consumatori che non di cittadini.

Tra le strade e le piazze di questo tipo di città non sono benvenuti coloro che vogliono semplicemente passeggiare e - consapevolmente o inconsapevolmente - praticare un'esperienza emotiva e sensoriale complessa. Sono ammessi solo clienti a consumazione obbligatoria. E la bellezza allora sbiadisce, ma soprattutto evapora la nostra capacità di coglierla, di essere fieri e consapevoli che questa esiste davvero ed è l'anima delle nostre città, quelle europee ma soprattutto quelle italiane. Finiamo così per infischiarcene: un delitto di cui non possiamo essere complici. «La città - sostiene al contrario Consonni - deve tornare a essere un motore dell'immaginario, capace di essere ospitale, di generare narrazioni, di mettere in moto emozioni e sorprese. E di educare alla vita e alla bellezza civile».

Se la nostra identità non si intreccia con l'urbanità - che per Consonni significa bellezza d'insieme, ma anche affabilità, educazione allo stare insieme di architetture e persone e molte altre cose ancora - salta per aria quella convivenza civile fatta di relazioni di prossimità, di desiderio di prendersi cura dei luoghi, di sentimento di cittadinanza. Va cioè in crisi ciò che alla fine fa la città. Dalla capacità di tenuta dei sottili fili che ancora ci annodano a quel che rimane della bellezza d'insieme e dell'urbanità che, nonostante tutto, continua a caratterizzare molti dei nostri tessuti urbani, misureremo il nostro amore per la città.

Consonni non teme di lanciare un appello alle classi dirigenti del Paese, agli architetti e agli urbanisti, invitandoli, responsabilmente, a non spezzare quei fili, già così lisi. In caso contrario, verrebbe definitivamente meno il senso di appartenenza alla città (in quanto idea, luogo e casa) e soprattutto svanirebbe quell'obbligo implicito di legittimarsi attraverso la "bellezza civile". Se ciò accadrà, se si proseguirà sulla strada che da anni abbiamo purtroppo imboccato, «si sbriciolerà - secondo Consonni - uno degli argini che tiene insieme il mondo e ne limita la bruttezza».

Per concludere, questo "libriccino" giallo non è solo bello: è uno slancio poetico (perché è di poesia che abbiamo bisogno per ragionare e vedere al futuro). È cioè qualcosa che ci ricorda con sentimento che «la bellezza è un dono. Una felicità momentanea che, più che appagarci, ci interpella». Allora chiediamoci cosa può fare ognuno di noi per tener vive le tante bellezze delle nostre città e dei nostri paesaggi: di ciò siamo tutti responsabili.

http://www.eddyburg.it/2017/02/se-la-bellezza-delle-citta-ci-interpella.html

venerdì 10 febbraio 2017

SE LA BELLEZZA DELLE CITTÀ CI INTERPELLA Commento al libro di Giancarlo Consonni (Paolo Pileri)

L'ultimo libro di Giancarlo Consonni - Urbanità e bellezza. Una crisi di civiltà (Solfanelli, 2016) - è semplicemente Bello. Proprio così: con la "B" maiuscola. È infatti uno di quei rari saggi che riesce a prendere fiato rispetto al parapiglia di un dibattito urbanistico spesso schiacciato sui temi della rendita e della fiscalità urbana piuttosto che sull'arte di costruire le città, o su quello o quell'altro caso di speculazione, o - come si dice oggi - di sviluppo 'smart'. 
Consonni - intrecciando i mille rivoli di una cultura personale che prima di essere urbanistica è umanistica - riesce a vedere con il necessario distacco quel che sta accadendo nel dibattito sulla città e il territorio e soprattutto riesce a farci comprendere bene quanto l'idea stessa di città si sia erosa e modificata nel tempo a furia di maltrattamenti lessicali e manomissioni di senso. Questo al punto che oggi fatichiamo a vedere, a sentire, a immaginare un futuro per quella che è una delle più grandi invenzioni dell'umanità.
Sento per l'autore di questo "libriccino" - così lo definisce lo stesso Consonni nella premessa - un sentimento di vera gratitudine. Ho respirato qualcosa di nuovo leggendo quelle pagine dense di pathos e non solo di logos. In esse ho colto una critica non ideologica a ciò che succede al governo del territorio. Ho visto dove si sono ammalorate le basi del pensiero urbanistico. E ho capito. Perché questo "libriccino" ti apre gli occhi, spostando il tuo sguardo fuori dalla rissa in cui perennemente ci troviamo, per appoggiarlo sulle cose veramente importanti, quelle che fondano (e dovrebbero continuare a fondare) sia l'idea di città sia l'idea di progetto della città. 
Non si può che concordare con l'autore sulla necessità di interrompere quella follia che vuole la città e la metropoli come una sola grande occasione di profitto. Questo è terribilmente svilente non solo della bellezza dei luoghi urbani ma anche e soprattutto dell'idea di cittadinanza e dell'idea stessa di città. Idee che nel nostro Bel Paese si sono formate attraverso i secoli divenendo parte del nostro carattere, del nostro pensare e agire quotidiano, del nostro sguardo, persino quando chiudiamo gli occhi. 
Il problema - perché esiste effettivamente un problema - è che oggi si sta eccessivamente imponendo, a forza di proclami e false verità, un'idea di città di plastica, tutta costruita attorno alla parola magica "metropolitana". Consonni vi si sofferma, la studia, ci ragiona con maestria e leggerezza e alla fine ne deduce che non possiamo rinunciare alle chiavi basilari di ciò che è veramente la città, ad alcuni suoi caratteri essenziali come quello dell'urbanità e quello della bellezza. Diversamente ci "sembra" di essere in una città, ma invero siamo in una sorta di set cinematografico alla "Truman Show", in un penoso spettacolo in cui ogni cosa è messa lì per soddisfare le mire di guadagno di alcuni, i soliti che mirano ad accaparrarsi la rendita, quelli della finanza, del fondo immobiliare xy, della catena commerciale zk. E loro - questo è chiaro - hanno più bisogno di consumatori che non di cittadini. Tra le strade e le piazze di questo tipo di città non sono benvenuti coloro che vogliono semplicemente passeggiare e - consapevolmente o inconsapevolmente - praticare un'esperienza emotiva e sensoriale complessa. Sono ammessi solo clienti a consumazione obbligatoria. E la bellezza allora sbiadisce, ma soprattutto evapora la nostra capacità di coglierla, di essere fieri e consapevoli che questa esiste davvero ed è l'anima delle nostre città, quelle europee ma soprattutto quelle italiane. Finiamo così per infischiarcene: un delitto di cui non possiamo essere complici. "La città - sostiene al contrario Consonni - deve tornare a essere un motore dell'immaginario, capace di essere ospitale, di generare narrazioni, di mettere in moto emozioni e sorprese. E di educare alla vita e alla bellezza civile". 
Se la nostra identità non si intreccia con l'urbanità - che per Consonni significa bellezza d'insieme, ma anche affabilità, educazione allo stare insieme di architetture e persone e molte altre cose ancora - salta per aria quella convivenza civile fatta di relazioni di prossimità, di desiderio di prendersi cura dei luoghi, di sentimento di cittadinanza. Va cioè in crisi ciò che alla fine fa la città. Dalla capacità di tenuta dei sottili fili che ancora ci annodano a quel che rimane della bellezza d'insieme e dell'urbanità che, nonostante tutto, continua a caratterizzare molti dei nostri tessuti urbani, misureremo il nostro amore per la città. Consonni non teme di lanciare un appello alle classi dirigenti del Paese, agli architetti e agli urbanisti, invitandoli, responsabilmente, a non spezzare quei fili, già così lisi. In caso contrario, verrebbe definitivamente meno il senso di appartenenza alla città (in quanto idea, luogo e casa) e soprattutto svanirebbe quell'obbligo implicito di legittimarsi attraverso la "bellezza civile". Se ciò accadrà, se si proseguirà sulla strada che da anni abbiamo purtroppo imboccato, "si sbriciolerà - secondo Consonni - uno degli argini che tiene insieme il mondo e ne limita la bruttezza". 
Per concludere, questo "libriccino" giallo non è solo bello: è uno slancio poetico (perché è di poesia che abbiamo bisogno per ragionare e vedere al futuro). È cioè qualcosa che ci ricorda con sentimento che "la bellezza è un dono. Una felicità momentanea che, più che appagarci, ci interpella". Allora chiediamoci cosa può fare ognuno di noi per tener vive le tante bellezze delle nostre città e dei nostri paesaggi: di ciò siamo tutti responsabili.

di Paolo Pileri



mercoledì 11 gennaio 2017

Novità: MEDITAZIONI SU UNA CIVILTA' FERITA di Sandro Marano

     Il filo conduttore di questa raccolta di articoli e piccoli saggi di Sandro Marano è quello di una critica alla civiltà moderna condotta dal particolare punto di vista della poesia e dell’ecologia. I poeti, gli scrittori, i filosofi, gli artisti, gli uomini politici passati in rassegna dall’autore ci invitano alla meditazione, al raccoglimento, ad un pensiero forte al di fuori degli schemi pregiudiziali e del “politicamente corretto”.
     Il tutto nel breve, nel conciso, nella leggerezza. Fatti quotidiani, citazioni, domande, interpretazioni storico-critiche si amalgamano e si susseguono nel tentativo di capire il tempo che stiamo vivendo, di riflettere sul mistero della vita, di sentirci in fondo meno soli.
     Lo scrittore allora è un po’ come “il cane della scrittura”, cui si riferiva in un suo magnifico racconto Pierre Drieu La Rochelle: al pari del cane che cerca gli avanzi per nutrirsi e sopravvivere, egli segue le tracce e le mette insieme, fuori di metafora, si volge alla scrittura per superare o cercare di superare la disarmonia del vivere, le contraddizioni, l’assurdo.


Sandro Marano
MEDITAZIONI SU UNA CIVILTA' FERITA
Edizioni Solfanelli
[ISBN-978-88-7497-675-1]
Pagg. 128 - € 11,00

http://www.edizionisolfanelli.it/meditazionisuunacivilta.htm