giovedì 25 giugno 2009

RECENSIONE di Renzo Montagnoli a ÉMILE ZOLA

Devo ammettere che risulta assai difficile, o addirittura quasi impossibile, scrivere la recensione di un saggio letterario capace di affrontare la figura di uno scrittore come Emile Zola, fondatore del Naturalismo, corrente letteraria che si ispira, come metodologia, a Claude Bernard, grande medico francese, autore dell’Introduzione alla medicina sperimentale.
Precursori di questa concezione, antitetica del romanticismo e che si basa sul fatto che la psicologia dell’uomo debba essere considerata alla stessa stregua di ogni fenomeno naturale e quindi con la stessa evoluzione di causa ed effetto, furono senza dubbio Balzac e Flaubert, ma Zola fu colui che la sviluppò ai massimi livelli.
Del resto nel Saggio su Il romanzo sperimentale che comprende tutti gli scritti teorici pubblicati da Zola nel 1880, lui stesso definisce il romanzo una conseguenza dell’evoluzione scientifica del secolo; esso è, in una parola, la letteratura della nostra età scientifica, come la letteratura classica e romantica corrispondeva a un’età scolastica e di teologia.
Da qui l’osservazione diretta di esseri umani, dei loro comportamenti, delle loro reazioni, dei loro ambienti, indispensabile per scrivere un romanzo.
E infatti le descrizioni sono improntate al più rigoroso realismo, il che se incontrò notevoli favori, però diede luogo anche a reazioni piuttosto accese negli ambienti più conservatori dell’epoca.
Benché da noi più conosciuto per Teresa Raquin, per Nanà, Germinal e La bestia umana, il grosso della sua produzione va ascritto al Ciclo de I Rougon-Macquart, di cui peraltro fanno parte gli ultimi tre dei succitati romanzi.
Si tratta di una serie di opere (una ventina) in cui l’intima connessione tra i protagonisti del gruppo familiare e sociale ivi descritto rende la loro storia esemplare, anzi la vera storia narrata del Secondo Impero Bonapartista.
E qui l’adesione al modello di scienza sperimentale teorizzato da Bernard trova la più completa delle applicazioni nelle azioni, nelle passioni, nei comportamenti dei componenti di questa stirpe, all’origine dei quali vi è un’accertata lesione organica, cioè secondo la moderna terminologia ci sono elementi del codice genetico che finiscono con il condizionare i discendenti, segnandone in pratica l’esistenza.
Con questi presupposti e con lo spietato realismo che induce lo scrittore a osservare con la massima attenzione il comportamento di soggetti reali analoghi ai personaggi della vicenda, è evidente che lo spazio per la creatività si riduce alquanto, finendo con il costituire solo l’ossatura del racconto, il fil rouge intorno al quale gira tutta la storia.
Questo saggio, peraltro facilmente accessibile come esposizione, presenta l’indubbio vantaggio di parlare, in modo coordinato e razionale, di questa continua sperimentazione di Zola, riportando anche brevi brani di alcuni romanzi, giusto per chiarire ulteriormente i concetti.
Quindi sono dell’idea che possa costituire uno strumento indispensabile per lo studioso dell’autore francese e anche una fonte di conoscenza per chi voglia comprendere un periodo storico e una corrente letteraria di rilievo quale fu il Naturalismo.
http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=5325

venerdì 5 giugno 2009

LA DISMISURA IMMAGINATA: recensione di Renzo Montagnoli

Per molti è uno sconosciuto, ma è il destino di quasi tutti i precursori e a buon diritto Ernst Theodor Amadeus Hoffmann lo è stato.
Questo geniale ed eclettico tedesco (Konigsberg, 24 gennaio 1776 – Berlino, 25 giugno 1822), oltre a essere stato pittore, compositore, giurista, fu anche uno scrittore, anzi uno dei massimi esponenti di quel movimento artistico, culturale e letterario conosciuto come Sturm und Drang e più universalmente noto, dopo la sua diffusione in tutta l’Europa, come Romanticismo.
La sua visione della realtà finiva letterariamente per essere trasfigurata, in una sorta di esperienza onirica, che finiva con il dar vita, di volta, a prose surreali, fantastiche o grottesche, non di rado in una sovrapposizione di grande effetto.
Vissuto a cavallo di due secoli, in cui storicamente prima avveniva il grande evento della rivoluzione francese e poi la fase grottesca della restaurazione, un’epoca in cui i fondamenti dell’illuminismo finivano con lo sgretolarsi di fronte all’avanzata dell’industrialismo, in questi passaggi Hoffmann riuscì meglio a interpretare l’angoscia, i timori, le speranze di un uomo del suo tempo.
Specchio di se stesso, le sue opere, avveniristiche per l’epoca, finiscono con il tratteggiare una condizione umana dove mistero, realtà e irrealtà, timori latenti e fughe del pensiero si intrecciano, dando vita a spunti che poi saranno ripresi da autori successivi.
Carlo Bordoni, lui stesso autore di narrativa fantastica (il recente Il cuoco di Mussolini, una raffinata e verosimile ucronia), nonché studioso del genere, ha voluto rendere omaggio all’illustre progenitore tedesco con un saggio intitolato La dismisura immaginata – Hoffmann e la letteratura fantastica, un’attenta analisi storico-letteraria della produzione di Hoffmann, con un’interpretazione, condivisibile, di motivazioni, di cause, di effetti e di connessioni del pensiero e dello spirito creativo che giustamente fanno di questo scrittore, vissuto peraltro brevemente, un capostipite di quel genere, da cui poi tanti hanno attinto con risultati forse anche più esaltanti, un genere che ancor oggi sembra essere fra i preferiti e che in una fase di recessione economica ed etica finisce con l’assumere una rilevanza tutta particolare, raccogliendo pulsioni e timori di un presente nell’ottica del futuro.
Preceduto da un’esauriente presentazione di Romolo Runcini il saggio di Bordoni ha il pregio, per niente trascurabile, di offrire una visione completa, perfino sotto il punto di vista psicologico, in poche pagine e, quel che più conta, in modo accessibile anche a chi per la prima volta si accosta alle origini del fantastico.

Renzo Montagnoli
http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=5223

lunedì 1 giugno 2009

The time is out of joint (Exibart.onpaper n. 57 - giugno-luglio 2009)

Apriamo con la nota citazione shakespeariana poiché, nella sua eco degli Spettri di Marx di Jacques Derrida, inquadra il densissimo lavoro di Marcello Faletra. Punteggiato da puntuali e colti riferimenti alla cultura “filosofica” francese del secondo dopoguerra, il breve saggio riflette sulle Dissonanze del tempo, fornendo al lettore una messe e una massa di Elementi di archeologia - qui il rimando è naturalmente a Foucault - dell’arte contemporanea, come recita il sottotitolo.
Ciò non significa che si tratti d’un libro scritto da un epigono della cultura post-strutturalista. E lo dovrebbe dimostrare, almeno in forma di segnalazione, l’epigrafe posta in apertura, che è firmata T.S. Eliot e si conclude in tal modo: “Se tutto il tempo è eternamente presente / Tutto il tempo è irredimibile ”. Nulla di più distante da quanto un Derrida sosteneva, criticando quella “metafisica della presenza” che abiterebbe come un fantasma la filosofia, da qualche secolo a questa parte.
E tuttavia, Faletra non pare proprio ricascare in questo sostanziale vizio di forma. Al contrario, riesce a restare in equilibrio su quel filo sottilissimo che divide (e unisce) denuncia e reazione, filosofia della storia e messianismo, disillusione e sconforto. Più che una terza via, un ammirevole esercizio di funambolismo. Certo, a volerne decostruire rigorosamente il testo e le tesi, qualche falla la si potrebbe trovare. E non solo da un punto di vista eminentemente filosofico, ma pure - per esempio - da quello della critica d’arte, sostenendo magari che gli esempi citati sono pochi e, in qualche caso, non pienamente confacenti all’ipotesi che dovrebbero incarnare.
Il punto è però un altro, ed è un punto di tale fissa inaggirabilità che fa presto dimenticare - qualora si sia in buona fede - le accademiche questioni di lana caprina. Il punto è la confusione fra contemporaneità e cronologia, che Faletra denuncia sin dalla prima pagina. E che, lo ripetiamo, non è solo una questione di filosofia della storia o di storia dell’arte, ma nientemeno che d’“imperialismo culturale ”. In altre parole, non esiste un solo tempo, e perciò non esiste una sola attualità: “Non tutti viviamo nello stesso presente”. E ciò vale ovviamente per il singolo nel rapporto a sé e agli altri e alla società in cui vive; ma soprattutto vale in una logica “comparativa” in senso geografico. È la policronia.
Faletra non fa però opera di caritatevole sensibilizzazione verso le culture altre. Fa ben di più: ricorda, sottolinea, ribadisce - con Nietzsche e Didi-Huberman - che “non c’è cronologia senza anacronismo. In un certo senso l’anacronismo è il rimosso della cronologia”. ttenzione però, non si tratta di un anacronismo inamovibile dalle proprie posizioni: “Separandosi violentemente dalla storia, l’arte della ‘contemporaneità’ si trova a svolgere un ruolo anamnesico. E dal momento che tale separazione dalla storia è irreversibile, l’anamnesi si fa interminabile ”.
Qui sorge il problema. Poiché la postmodernità pare aver sussunto (o poter rapidamente sussumere) ogni forma di straniamento, e dunque pure l’arte, e soprattutto la sua fruizione istantanea (con tutto ciò che il termine ‘istante’ significa nella filosofia della storia di Walter Benjamin, altro riferimento basilare nel libro).
È l’ennesima fine dell’arte di hegeliana memoria? In molti sono tentati di crederlo, magari auspicando che il presunto timore si riveli reale. Ma si deve pur sempre tenere a mente la freudiana interminabilità che si citava poche righe fa; in sostanza, “la fine dell’arte non smette di finire, ma ricomincia sempre”. La domanda è dunque un’altra: il fatto che l’arte sia in-finita è un augurio o una minaccia?

info.
Marcello Faletra - Dissonanze del tempo
Solfanelli, *** 2009
Pagg. 88, 8 euro
ISBN 9788889756553
Info: http://www.edizionisolfanelli.it/