lunedì 1 giugno 2009

The time is out of joint (Exibart.onpaper n. 57 - giugno-luglio 2009)

Apriamo con la nota citazione shakespeariana poiché, nella sua eco degli Spettri di Marx di Jacques Derrida, inquadra il densissimo lavoro di Marcello Faletra. Punteggiato da puntuali e colti riferimenti alla cultura “filosofica” francese del secondo dopoguerra, il breve saggio riflette sulle Dissonanze del tempo, fornendo al lettore una messe e una massa di Elementi di archeologia - qui il rimando è naturalmente a Foucault - dell’arte contemporanea, come recita il sottotitolo.
Ciò non significa che si tratti d’un libro scritto da un epigono della cultura post-strutturalista. E lo dovrebbe dimostrare, almeno in forma di segnalazione, l’epigrafe posta in apertura, che è firmata T.S. Eliot e si conclude in tal modo: “Se tutto il tempo è eternamente presente / Tutto il tempo è irredimibile ”. Nulla di più distante da quanto un Derrida sosteneva, criticando quella “metafisica della presenza” che abiterebbe come un fantasma la filosofia, da qualche secolo a questa parte.
E tuttavia, Faletra non pare proprio ricascare in questo sostanziale vizio di forma. Al contrario, riesce a restare in equilibrio su quel filo sottilissimo che divide (e unisce) denuncia e reazione, filosofia della storia e messianismo, disillusione e sconforto. Più che una terza via, un ammirevole esercizio di funambolismo. Certo, a volerne decostruire rigorosamente il testo e le tesi, qualche falla la si potrebbe trovare. E non solo da un punto di vista eminentemente filosofico, ma pure - per esempio - da quello della critica d’arte, sostenendo magari che gli esempi citati sono pochi e, in qualche caso, non pienamente confacenti all’ipotesi che dovrebbero incarnare.
Il punto è però un altro, ed è un punto di tale fissa inaggirabilità che fa presto dimenticare - qualora si sia in buona fede - le accademiche questioni di lana caprina. Il punto è la confusione fra contemporaneità e cronologia, che Faletra denuncia sin dalla prima pagina. E che, lo ripetiamo, non è solo una questione di filosofia della storia o di storia dell’arte, ma nientemeno che d’“imperialismo culturale ”. In altre parole, non esiste un solo tempo, e perciò non esiste una sola attualità: “Non tutti viviamo nello stesso presente”. E ciò vale ovviamente per il singolo nel rapporto a sé e agli altri e alla società in cui vive; ma soprattutto vale in una logica “comparativa” in senso geografico. È la policronia.
Faletra non fa però opera di caritatevole sensibilizzazione verso le culture altre. Fa ben di più: ricorda, sottolinea, ribadisce - con Nietzsche e Didi-Huberman - che “non c’è cronologia senza anacronismo. In un certo senso l’anacronismo è il rimosso della cronologia”. ttenzione però, non si tratta di un anacronismo inamovibile dalle proprie posizioni: “Separandosi violentemente dalla storia, l’arte della ‘contemporaneità’ si trova a svolgere un ruolo anamnesico. E dal momento che tale separazione dalla storia è irreversibile, l’anamnesi si fa interminabile ”.
Qui sorge il problema. Poiché la postmodernità pare aver sussunto (o poter rapidamente sussumere) ogni forma di straniamento, e dunque pure l’arte, e soprattutto la sua fruizione istantanea (con tutto ciò che il termine ‘istante’ significa nella filosofia della storia di Walter Benjamin, altro riferimento basilare nel libro).
È l’ennesima fine dell’arte di hegeliana memoria? In molti sono tentati di crederlo, magari auspicando che il presunto timore si riveli reale. Ma si deve pur sempre tenere a mente la freudiana interminabilità che si citava poche righe fa; in sostanza, “la fine dell’arte non smette di finire, ma ricomincia sempre”. La domanda è dunque un’altra: il fatto che l’arte sia in-finita è un augurio o una minaccia?

info.
Marcello Faletra - Dissonanze del tempo
Solfanelli, *** 2009
Pagg. 88, 8 euro
ISBN 9788889756553
Info: http://www.edizionisolfanelli.it/

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