giovedì 4 settembre 2008

Un poeta turco passato in sordina: Nâzim Hikmet

Edito da Solfanelli il testo che unifica tre percorsi intellettuali del '900 facendo emergere i demeriti che hanno caratterizzato la critica italiana


Il saggio che questo mese vi vogliamo proporre è una sorta di atto di riverenza nei confronti di tre scrittori del Novecento che hanno trovato destino comune nei tragici eventi del secolo breve.
Il libro Cantastorie della rivoluzione. Nâzim Hikmet – Joyce Lussu – Velso Mucci (Solfanelli, pp. 64, € 7,00) di Giacomo D’Angelo, pubblicista di Pescara, non ambisce ad aggiungere nulla di nuovo alle conoscenze che già si hanno su questi autori, ma si configura solo come altoparlante per denunciare il silenzio critico che ha avvolto in Italia l’opera del poeta turco Nâzim Hikmet. Silenzio che non è stato condiviso dal pubblico, il quale tuttora si avvicina agli scritti hikmetiani con una maggiore predilezione per le poesie d’amore.
Un libro venduto soprattutto durante la festa di San Valentino in cui, come afferma D’Angelo, vi sono «le vetrine allestite per la circostanza». Ed è proprio sul suddetto libro, edito anche da Mondadori, che l’autore non usa mezzi termini nel definire le parole presenti sulla quarta di copertina come capziose, generiche ed imbarazzanti.
Il pensiero di Hikmet è talmente profondo e letteralmente dilatato da non poter essere relegato in banali parole di circostanza che potrebbero essere indifferentemente usate in qualsiasi situazione letteraria.

Velso Mucci e il poeta turco

Se non fosse stato per la Lussu e per Velso Mucci in Italia non si sarebbe mai sentito parlare di questo scrittore turco. Nonostante in paesi come Germania, Francia e Russia sia stato studiato e si continui tuttora a tradurre ed analizzare i suoi scritti, la critica italiana ha completamente ignorato Hikmet.
Anche in Inghilterra, patria di scrittori come Shakespeare, non ha ottenuto grande riscontro, ma questo essenzialmente perché le sue poesie non sarebbero state sufficientemente radicate nel territorio.
Montale, osservatore costante di poeti italiani e stranieri, non ha mai citato il suo nome così come non lo ha compreso il critico letterario Alfonso Berardinelli, nella sua raccolta di cento poesie dei più grandi poeti del Novecento. Completamente ignorato, e neanche nominato in riviste come Millelibri, Linea D’ombra o citato nei giornali di sinistra, quali il Manifesto, l’Unità o Liberazione che spesso, nella terza pagina, attuano una sorta di ripescaggio dall’oblio per quegli autori che magari rischiano di essere completamente dimenticati dal pubblico.
Velso Mucci presumibilmente conobbe Hikmet durante gli anni trenta, quando Louis Aragon, poeta e saggista, lo propose al pubblico di Francia.
Mucci non conosceva il poeta e per tradurlo successivamente si servì di versioni francesi, inglesi e tedesche. Ma da questo primo incontro rimase particolarmente affascinato.

L’invisibilità di Hikmet: un problema ancora aperto

La citata Lussu fu poetessa e partigiana nata a Firenze. Il suo nome all’anagrafe era Gioconda, ma preferì chiamarsi Joyce e incoerentemente usare il cognome del marito Emilio Lussu.
La Lussu conobbe Hikmet a Stoccolma. Fu proprio da quell’originario incontro, e grazie agli altri che ne seguirono, che iniziò a tradurre le poesie dello scrittore turco. Ed è infatti proprio merito della poetessa se oggi disponiamo di traduzioni, di vari scritti e di una biografia di questo poeta sconosciuto.
L’autore del libro effettua un percorso obbligato, le tappe scandite nel testo lo portano inesorabilmente a far confluire i tre personaggi e ad unificarne per certi aspetti logistici, ma anche per affini ricerche intellettuali, i percorsi letterari di queste personalità.
È infatti solo grazie a Joyce Lussu e a Velso Mucci che oggi è possibile mantenere vivo il ricordo e la poesia di Hikmet. Sono stati loro a donargli quel posto d’onore che ha sempre meritato nella poesia mondiale, ma che a “gomitate” si è dovuto guadagnare in un paese troppo spesso ripiegato su se stesso e che non riesce ad aprirsi al nuovo. Questo può sembrare un problema al giorno d’oggi risolto, frutto di tempi ormai ampiamente passati, ma non è per niente così. In Italia, è triste dirlo, ma si è ancora fermi ad Eugenio Montale (per quanto sublime sia la sua poesia).
I giovani poeti, che probabilmente hanno parecchio talento e una maggiore ovvia preparazione intellettuale rispetto ai loro predecessori, non hanno voce per la critica, se non per una ristretta nicchia di lettori e sono costretti a districarsi nel complesso mondo dell’arte poetica spesso con scarsi risultati e mai potendo vivere di questo.

Roberta Santoro

www.bottegascriptamanent.it, anno II, n. 13, settembre 2008

http://www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=372&ricerca=solfanelli

mercoledì 2 luglio 2008

Novità: ÉMILE ZOLA. Scrittore sperimentale

La statura intellettuale e letteraria di Émile Zola (Parigi, 1840-1902) non avrebbe bisogno di particolari presentazioni. Padre della corrente letteraria del Naturalismo e autore di una lunga serie di romanzi (solo il ciclo dedicato alle vicende umane e sociali dei Rougon-Macquart occupa uno scaffale di ben venti volumi), Zola è stato una personalità eminente nelle lettere e nella cultura francese del secondo Ottocento.Tuttavia la sua figura è più nota oggi per l’intransigente partecipazione all’affaire Dreyfus (è celebre il suo articolo “J’accuse!” che riaprì il caso giudiziario relativo all’ufficiale francese accusato ingiustamente di spionaggio) che per il suo contributo alla ridefinizione del romanzo moderno.
L’obiettivo di questo libro è, invece, quello di cercare di illustrarne la poetica per temi scelti attraverso una serie di analisi relative alle sue opere principali per verificarne testualmente l’attualità. In appendice al volume viene pubblicata la traduzione di Omaggio a Zola, il controverso discorso tenuto da Louis-Ferdinand Céline nel 1933 in onore dell’autore di Nanà – in esso emerge una lettura inconsueta e sconvolgente del destino della letteratura venuta dopo il Naturalismo nell’epoca del totalitarismo incombente.
Giuseppe Panella si è laureato in filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa dove attualmente insegna. Si è occupato di storia dell’estetica, ha curato la Lettera sugli spettacoli di Jean Jacques Rousseau per Aesthetica (Edizioni di Palermo) e Il paradosso sull’attore di Denis Diderot (La Vita Felice di Milano) e in particolare del concetto di Sublime, Il Sublime e la prosa. Nove proposte di analisi letteraria (Clinamen, Firenze 2005). Più recentemente è passato ad occuparsi di teoria della letteratura e di filosofia del romanzo moderno, ha curato l’edizione del romanzo Jcosameron di Giacomo Casanova (La Vita Felice, Milano 2002) e i volumi monografici: Alberto Arbasino (Cadmo, Firenze 2004), Lo scrittore nel tempo. Friedrich Dürrenmatt e la poetica della responsabilità umana (Solfanelli, Chieti 2005 e Il lascito Foucault (Clinamen, Firenze 2006) in collaborazione con Giovanni Spena. Come poeta, ha pubblicato otto volumi di poesia, tra i quali Il terzo amante di Lucrezia Buti (Polistampa, Firenze 2000) ha vinto il Fiorino d’oro del Premio Firenze dell’anno successivo.

lunedì 2 giugno 2008

RECENSIONE di Gian Paolo Grattarola

Cominciava davvero a farsi vergognosa la limitata reperibilità in Italia di studi critici e di approfondimenti biografici relativi a Nazim Hikmet, il più grande poeta turco del Novecento, uno dei più tradotti al mondo. La fortuna di questo significativo artista ed intellettuale, a lungo recluso nelle carceri turche, eternamente braccato dalle polizie di mezza Europa per la sua lotta contro le tirannie, dipende ancora quasi esclusivamente dalla raccolta di “Poesie d’amore” pubblicata da Mondadori nel 2002 (per la traduzione di Joyce Lussu) e da quella per ragazzi “Il nuvolo innamorato e altre fiabe”, uscita per lo stesso editore l’anno successivo.

Troppo poco, nonostante il continuo riscontro di pubblico per i suoi versi d’amore, data la statura del poeta e la grande testimonianza umana e civile di cui è stato a lungo portatore.

Giacomo D’Angelo, pubblicista e collaboratore di diverse testate giornalistiche, colma ora in parte tale vuoto, dando alle stampe un breve saggio edito dalla Solfanelli Editore, dedicato non solo a Nazim Hikmet, ma anche alla sua biografa Joyce Lussu e a Velso Mucci, poeta, giornalista, scrittore e critico d’arte che negli anni Cinquanta tradusse alcune delle sue poesie.

Il libro da un lato denuncia l’inspiegabile silenzio della critica letteraria e dall’altro, allargandone l’orizzonte biografico, cerca di salvare dall’oblio un poeta che ha incarnato i caratteri fondamentali della letteratura del secolo scorso e può essere ritenuto il fondatore del realismo turco.

Nazim Hikmet occupa tuttora nel nostro paese una presenza quasi sotterranea, trascurata dalla cerchia dei cultori della materia e dai luoghi deputati della cultura ufficiale, indifferenti - a parte qualche rara eccezione - alla sua statura poetica. D’Angelo lamenta il mancato confronto in Italia con I testi segnati dalla forte passione civile e dall’ingualcibile candore della sua fede rivoluzionaria, essendo autore fervidamente apprezzato, per orientamento editoriale, solo da un pubblico di lettori abbacinato dalla linearità quasi discorsiva dei suoi versi d’amore.

La struttura libera, la nudità estetica del suo linguaggio poetico lo hanno a lungo ingiustamente confinato in un ambito marginale, periferico e minoritario. A sottrarlo a quest’aura sfocata prova ora D’Angelo, consegnandoci il ritratto a tutto tondo non solo di un poeta autentico e compiuto, ma anche di un intellettuale militante che, invece di approfittare dell’agio della vita, preferisce sacrificarsi sull’altare dell’ideale. Un ragguardevole esempio di eroe romantico al servizio della poesia, un felice connubio di passione amorosa e di passione politica. Senza tesserne il martirologio, questo saggio ha il merito di rilanciare l’opera del poeta turco legandola al filo indissolubile della sua vita. Al termine del libro, della parabola esistenziale di Nazim Hikmet, segnata dalla lunga detenzione nelle inospitali carceri turche, dall’esilio, dall’ostracismo dei suoi libri in patria, dalla nostalgia della sua terra e prematuramente stroncata da un infarto, restano avvinte nella nostra mente, con marchio indelebile, la generosità dell’uomo e lo stile del poeta.


Gian Paolo Grattarola

http://v3.lankelot.eu/letteratura/d-angelo-giacomo-cantastorie-della-rivoluzione-nazim-hikmet-joyce-lussu-velso-mucci.html

sabato 31 maggio 2008

RECENSIONE di Gian Paolo Grattarola (Mangialibri)

Cominciava davvero a farsi vergognosa la limitata reperibilità in Italia di studi critici e di approfondimenti biografici relativi a Nazim Hikmet, il più grande poeta turco del Novecento, uno dei più tradotti al mondo. La fortuna di questo significativo artista ed intellettuale, a lungo recluso nelle carceri turche, eternamente braccato dalle polizie di mezza Europa per la sua lotta contro le tirannie, dipende ancora quasi esclusivamente dalla raccolta di “Poesie d’amore” pubblicata da Mondadori nel 2002 (per la traduzione di Joyce Lussu) e da quella per ragazzi “Il nuvolo innamorato e altre fiabe”, uscita per lo stesso editore l’anno successivo. Troppo poco, nonostante il continuo riscontro di pubblico per i suoi versi d’amore, data la statura del poeta e la grande testimonianza umana e civile di cui è stato a lungo portatore.
Giacomo D’Angelo, pubblicista e collaboratore di diverse testate giornalistiche, colma ora in parte tale vuoto, dando alle stampe un breve saggio dedicato non solo a Nazim Hikmet, ma anche alla sua biografa Joyce Lussu e a Velso Mucci, poeta, giornalista, scrittore e critico d’arte che negli anni Cinquanta tradusse alcune delle sue poesie.
Il libro da un lato denuncia l’inspiegabile silenzio della critica letteraria e dall’altro, allargandone l’orizzonte biografico, cerca di salvare dall’oblio un poeta che ha incarnato i caratteri fondamentali della letteratura del secolo scorso e può essere ritenuto il fondatore del realismo turco. Nazim Hikmet occupa tuttora nel nostro paese una presenza quasi sotterranea, trascurata dalla cerchia dei cultori della materia e dai luoghi deputati della cultura ufficiale, indifferenti - a parte qualche rara eccezione - alla sua statura poetica. D’Angelo lamenta il mancato confronto in Italia con I testi segnati dalla forte passione civile e dall’ingualcibile candore della sua fede rivoluzionaria, essendo autore fervidamente apprezzato, per orientamento editoriale, solo da un pubblico di lettori abbacinato dalla linearità quasi discorsiva dei suoi versi d’amore. La struttura libera, la nudità estetica del suo linguaggio poetico lo hanno a lungo ingiustamente confinato in un ambito marginale, periferico e minoritario.
A sottrarlo a quest’aura sfocata prova ora D’Angelo, consegnandoci il ritratto a tutto tondo non solo di un poeta autentico e compiuto, ma anche di un intellettuale militante che, invece di approfittare dell’agio della vita, preferisce sacrificarsi sull’altare dell’ideale. Un ragguardevole esempio di eroe romantico al servizio della poesia, un felice connubio di passione amorosa e di passione politica. Senza tesserne il martirologio, questo saggio ha il merito di rilanciare l’opera del poeta turco legandola al filo indissolubile della sua vita.
Al termine del libro, della parabola esistenziale di Nazim Hikmet, segnata dalla lunga detenzione nelle inospitali carceri turche, dall’esilio, dall’ostracismo dei suoi libri in patria, dalla nostalgia della sua terra e prematuramente stroncata da un infarto, restano avvinte nella nostra mente, con marchio indelebile, la generosità dell’uomo e lo stile del poeta.

Gian Paolo Grattarola

http://mangialibri.com/?q=node/2452

giovedì 17 aprile 2008

Recensione di Renzo Montagnoli

Nazim Hikmet è un poeta indubbiamente conosciuto in occidente per le sue stupende liriche d’amore, che ancor oggi mostrano una freschezza e una vitalità veramente sorprendenti.

Quello che meno si conosce di questo grande autore turco è il suo impegno rivoluzionario e la sua arte poetica connessa.

Ha provveduto alla bisogna Giacomo D’Angelo con un breve saggio (64 pagine) intitolato Cantastorie della rivoluzione, con il preciso fine di denunciare il silenzio critico calato in Italia su questo grande artista.

Ha così scritto una biografia dettagliata sulla sua vita avventurosa, sulla sua passione politica che lo costringerà all’esilio nella Russia sovietica, dove morirà per un attacco cardiaco.

In questa sorta di rivisitazione viene evidenziato il carattere politico dell’altra sua poesia, tanto per intenderci quella che da noi è meno nota.

La vicenda storica di Hikmet viene poi collegata a quelle di altri due poeti che ebbero rapporti con lui in qualità di traduttori e che stranamente sembrano essere caduti nell’oblio, Joyce Lussu e Velso Mucci.

E’ una lettura agevole, anche se devo dire che D’Angelo ha calcato un po’ troppo la mano sullo spirito rivoluzionario, quasi a sostenere la tesi che la trascuratezza dei critici e degli editori per la poesia di Hikmet debba dipendere esclusivamente dal suo credo marxista e dalla sua indole sovversiva, circostanza di cui francamente dubito; infatti, non si spiegherebbe allora perché continuino a essere pubblicate le sue splendide liriche d’amore.

D’altra parte il compito dei critici è quello di approfondire quei lavori del passato che abbiano ancora una valenza e francamente quelle poche poesie di impegno politico e rivoluzionario che ho avuto l’opportunità di leggere mi sono sembrate anacronistiche, perfino anomale come forma di protesta, del tutto superate dai tempi e dagli eventi.

Al contrario le sue liriche d’amore restano tuttora valide, vitali, riescono ancora a incantare e a stupire.

Nel complesso, comunque, il saggio ha il particolare pregio di svelarci aspetti della vita e dell’arte di Hikmet senz’altro poco noti e pertanto rappresenta un utile elemento di integrazione cognitiva per chiunque si appresti a esaminare con spirito critico la sua opera poetica.

Renzo Montagnoli

http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=3468

venerdì 4 aprile 2008

L'ARTE NELLA SOCIETÀ: recensione di Andrea Franco

La collana Micromegas delle edizioni Solfanelli raccoglie indubbiamente saggi molto interessanti e quello che ci troviamo qui a recensire è il testo che apre la collana, un libro snello e affascinante che analizza il concetto di arte da diversi punti di vista, includendo all’interno del volume alcuni articoli dell’autore, Franco Ferrarotti, docente di sociologia all’università romana “La Sapienza”.
Il libro si legge molto rapidamente coniugando al meglio sintesi e complessità, dando al lettore uno spaccato molto dotto del concetto di Arte, però riuscendo nell’intento con articoli brevi. Interessanti le numerose citazioni che permettono al lettore più accorto di appuntare diversi nomi per approfondire le ricerche. Il classico saggio che si presta a diversi livelli di lettura. Gli si può dedicare una lettura rapida e superficiale, così come si presta a numerosi approfondimenti e punti di partenza per ricerche su vari aspetti.
L’arte nella società è un testo che approfondisce aspetti non banali, che con difficoltà si affrontano in testi meno tecnici, e per questo si posiziona su un livello alto, e per la qualità della scrittura e per il tema trattato.
Sicuramente la scelta di saggi brevi ma molto specialistici è vincente. Permette di tuffarsi anche in argomenti poco conosciuti senza dover affrontare testi notevolmente più impegnativi. Un buon modo per addentrarsi in una materia che si vuole iniziare a conoscere.

http://v3.operanarrativa.com/node/1142

lunedì 31 marzo 2008

Novità editoriale: CANTASTORIE DELLA RIVOLUZIONE

Questo saggio vuole essere un omaggio a tre voci libere che il caso ha fatto incontrare nel turbinio degli eventi tragici del “secolo più terribile della storia occidentale” (Isaiah Berlin). Non ha la pretesa di arricchire di nuovi elementi vicende già appassionatamente narrate da altri (a cominciare da Joyce Lussu per finire con Barbara La Rosa), ma divulgarli in un esercizio di memoria.
Il suo fine è principalmente quello di denunciare il silenzio critico calato in Italia su Nâzim Hikmet, già anticipato anni fa dalla Lussu, nonostante il favore continuo dei lettori, che con straordinaria assiduità acquistano le tante ristampe delle sue liriche d'amore. Ma Hikmet non è l’Ovidio dell’Ars amatoria, né il Catullo di Lesbia, e nemmeno un imitatore del d’Annunzio alcionico se mai lo ha letto. Il suo sentimento dell’amore è talmente esteso alle donne amate, ai figli, alla patria, alla Russia (“paese dei miei sogni”), al popolo turco e alla sua lingua, a tutti i popoli della terra, ai suoi ideali di libertà, da non poter essere circoscritto o rimpicciolito in una parola ambiguamente polivalente.

Giacomo D'Angelo
CANTASTORIE DELLA RIVOLUZIONE
Nâzim Hikmet - Joyce Lussu - Velso Mucci

Edizioni Solfanelli, Chieti 2008
[ISBN-978-88-89756-28-7]
Pagg. 64 - € 7,00

http://www.edizionisolfanelli.it/cantastorie.htm