venerdì 6 marzo 2009

Dissonanze del Tempo in artapartofculture.org

Che cos’è Dissonanze del tempo? Innanzitutto delinea alcuni percorsi della formazione e dei mutamenti del concetto di contemporaneità. Cosa è contemporaneo in un’opera? Quali criteri, in genere, vengono utilizzati per stabilire la contemporaneità delle opere? Perché l’arte contemporanea è circondata da un alone di incomprensibilità? E’ contemporaneo ciò che si riconosce o ciò che sfugge al riconoscimento? Se la chiave per comprendere un’opera del passato è nel passato stesso, possiamo dire la stessa cosa per un’opera “contemporanea”? La letteratura sull’arte contemporanea si basa in minima parte su aspetti tematici e formalistici, nella maggior parte dei casi sulla cronologia: per alcuni sarebbe “contemporanea” l’arte dopo la seconda guerra mondiale; per altri l’arte del Novecento in generale fino ad oggi; per altri ancora l’arte degli ultimi trent’anni. Se è davvero così qual è, allora, l’estensione del concetto di contemporaneità?
Le Demoiselles d’Avignon di Picasso, per fare un esempio, è diventata un’opera “moderna” solo molto tempo dopo, e così per molte altre opere decisive del Novecento. La stessa cosa si può dire dei ready-made di Duchamp. E’ solo dopo che sono stati eletti a icone della “contemporaneità”. Chi attribuisce titoli di contemporaneità a Duchamp deve almeno essere convinto della forzatura che opera: Duchamp stesso, che si definiva un “anartista”, non avrebbe consentito una cosa del genere. Com’è possibile questa singolare concezione del tempo che solo retroattivamente scopre la “contemporaneità”? La nozione di contemporaneità appare nel panorama storico-critico solo negli ultimi decenni, per tutta la prima metà del secolo scorso si è parlato di avanguardia. Sostanzialmente, il libro, indaga la nozione di contemporaneità da più punti di vista. Montaggio, simultaneità, policronia, anacronismo, non-contemporaneità, tutti termini che ricorrono nei paragrafi tessendo una semantica di tempi al plurale, un arcipelago delle esperienze del presente che si oggettiva nelle opere.
Relativamente alla definizione della nozione di contemporaneità, il saggio, ne mette in luce una delle contraddizioni più evidenti: assumendo il carattere di arbitrarietà che gli è immanente, si arriva a un punto morto: occorrerebbe accordarsi, caso per caso (opera per opera), per attribuirgli un senso univoco. Ironia delle definizioni: ve ne sarebbero tante quante sono le opere. Tuttavia, in pochissimi casi, ciò che è costitutivo della contemporaneità – una certa costruzione del presente – è stato oggetto di indagine. Se provassimo a “decronologizzare” le opere degli ultimi 150 anni, ci troveremmo di fronte a una realtà dell’arte difficile da collocare in una classe di oggetti culturali comunemente definiti moderni o “contemporanei!”. Se provassimo, cioè, per un momento a far nostra l’ipotesi di David Hockney quando afferma: “per me tutta l’arte è contemporanea. Se sono attratto dai graffiti preistorici, questi sono per me contemporanei”, ci troveremmo di fronte a una inedita concezione del tempo che ci proietterebbe in un’ottica anicronica e di simultaneità rispetto al tempo della successione e della cronologia. Il libro prende corpo a partire da questa ipotesi. Dalla concezione della contemporaneità di Diderot che non sopportava l’eccesso di fronzoli del celebre pittore Bouchet (così di moda a quel tempo) a quella di Baudelaire che fa l’elogio del maquillage, anticipando alcune questioni della banalità dell’arte d’oggi, da quella di Benjamin che legge i vuoti di Atget come “inconscio ottico” a quella Ernst Bloch con la sua teoria della non-contemporaneità, fino alla nozione temporale del presente di Lyotard, Badiou, Didi-Huberman, e alle riscritture del passato di Sherry Levine, Vanessa Beecroft, Cindy Sherman, Bill Viola…si delinea un percorso del tempo non ascrivibile alla mera successione cronologica, si delinea un percorso anacronistico dell’arte. Si tratta di indagare a quale regime temporale, effettivamente, le opere appartengono, e implicitamente di leggerle alla luce di una pluralità di tempi. Vi è nell’arte d’oggi un presente mitologizzato – effetti di propaganda, retorica dello scandalo, liturgie celebrative di artisti, ecc – e un presente “anacronistico”, invisibile, che sfugge alla presa dell’effetto pubblicitario: una non-contemporaneità del clichè del contemporaneo.

Il sottotitolo del volume - Elementi di archeologia dell’arte contemporanea – fa riferimento all’atteggiamento che la ricerca assume di fronte alle opere. Se è vero che un’epoca non sopravvive alle forme che la rendono visibile, è altrettanto vero che l’etichetta che si attribuisce a un’opera non sopravvive alle esigenze di classificazione del proprio tempo. Cosa resta di un’opera dopo la sua classificazione storiografica? L’archeologia in effetti tiene conto non dell’universale, ma dell’esemplare – è: cio che resta del tempo, è un pezzo di divenire immobilizzato.
L’anamnesi (del visibile) porta alla luce l’anacronismo delle opere (la resistenza contro la loro funzionalizzazione mercantile) e dunque la loro potenza di conflagrazione nel presente: davanti a un’opera di Bill Viola o di Velasquez, io non sono presente a dei feticci museali o del mercato, ma davanti a un’esperienza del tempo. E questo aspetto non vale solo per le opere. Carl Einstein – teorico e critico delle avanguardie, tra i più significativi del suo tempo – dopo la sua morte (1940) è stato letteralmente rimosso dalla storia dell’arte moderna e contemporanea. Perché? L’archeologia, in qualche modo, rende giustizia a queste figure rimosse escluse dall’elenco della contemporaneità ufficiale. In un mondo dove andare alla svelta è l’indice della “contemporaneità”, l’anamnesi è allora l’alterità di fronte a questo stato di cose. In questa prospettiva l’arte non è fatta per essere veloce (consumare i significati in fretta per mettere in commercio altri segni), secondo il registro della concorrenza commerciale, ma per porre un problema: cos’è il tempo per me? Fedele ad alcune posizioni di Paul Valery sulla concezione dell’atto poetico, questi elementi di archeologia dell’arte contemporanea, sono un piccolo contributo alla concezione dell’opera come atto e non come oggetto. Il primo è nel tempo, il secondo nel commercio dei segni.
Possiamo conoscere il tempo del passato soltanto nella sua permanenza e reminiscenza nel presente. Sappiamo che la storia dell’arte – antica, moderna, contemporanea – è un artefatto gnoseologico. Tuttavia ciò che sappiamo del tempo che si oggettiva nelle opere, solo in minima parte ci proviene da essa. L’arte moderna (e dunque contemporanea) non è solo la favola di una violenta irruzione del nuovo o della sua progressiva “sdefinizione”, divenuti a loro volta feticci del mercato, ma è soprattutto la storia di come le opere hanno cristallizzato, come un minarale, il presente. E’ la storia di un’alterità del tempo. Policronia e monocronia del presente nelle opere sono il filo rosso che gioca come una banda di moebius il movimento della contemporaneità. La colonizzazione postmoderna di una certa concezione del presente, vincolata allo spettacolare e al concorrenziale, pone in modo forte la questione della libertà dell’arte di fronte al tempo: di che cosa sarebbe contemporanea l’arte, dato il suo volto prevalentemente autoreferenziale? Da qui una domanda decisiva: è sufficiente essere in sintonia con l’universo museale, pubblicitario e mediatico per stabilire la contemporaneità di un fenomeno artistico? Qual’è il tempo che resta di questa contemporaneità ufficiale?
In questa prospettiva, l’arte diventa il luogo (e il corpo) di un irriducibile dissidio fra ordine (linguaggio della comunicazione e della mercificazione) e disordine (l’eterogeneità delle sensazioni e delle esperienze temporali).

M. Faletra, Dissonanze nel tempo. elementi di archeologia dell’arte.
ed Solfanelli collana Micromegas, pp. 85, 2008.


http://www.artapartofculture.org/2009/03/06/dissonanze-del-tempo-elementi-di-archeologia-dellarte-contemporanea-di-marcello-faletra/

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